Lettera
Buffa 21.10.2013 OGGETTO: Shoah e Nabka esperienze universali comuni
del popolo ebraico e palestinese
Egregio
Presidente Giorgio Napolitano, in vista dell’incontro bilaterale
Italia- Israele, che si terrà a Torino il 2 dicembre, Le scriviamo
per esprimere l’inquietudine e lo spaesamento che proviamoo per la
drammatica situazione del popolo palestinese, situazione che rischia
una sclerotizzazione, se manca uno sforzo comune, ovvero il
ri-orientamento della politica in direzione della giustizia, tramite
una dialettica del ri-conoscimento dell’altro: nel nostro dovere di
essere in-relazione con gli altri esseri sta quell’atteggiamento
esistenziale volto a realizzarci attraverso e non contro l’altrui
dignità. Il non ri-conoscere i crimini compiuti nei confronti del
popolo palestinese si traduce, più in generale, nel mancato
riconoscimento degli altri, che colpisce non solo la vittima, ma
l’intero tessuto sociale che lega gli esseri umani . Oggi più che
mai è necessaria una torsione dello sguardo al muro dell’apartheid,
ai percorsi ad ostacoli dei check point, ai cumuli d’immondizia dei
campi profughi, alla denegazione forzata di un’identità
palestinese in aree sempre più estese nella città sacra di
Gerusalemme, magico crocevia di straordinarie e diverse civiltà. E
tuttavia, “esaminare e portare coscientemente il fardello che il
nostro secolo ci ha posto sulle spalle non basta”. La
responsabilità che può, forse, mitigare il dolore ha a che fare più
con il ‘rispondere’ all’appello che compare sul volto
dell’altro. Incontrare il volto e rispondere alla sua domanda
“consente di incontrare l’eccedenza personale ed esistenziale
racchiusa in ogni storia “. Signor Presidente, rispondere
all’appello dell’”altro “è oggi un dovere della politica.
Non sono ammissibili rimozioni e oblii, se già Onu e Corte
internazionale di giustizia hanno definito Israele “potenza
occupante” e tutte le misure amministrative e legislative
intraprese da Israele e volte ad alterare lo status di Gerusalemme,
"violazione del Diritto internazionale". Signor Presidente,
ripensando con commozione alla dolorosa vicenda di Samer Issawi,
credo che sia più che mai urgente, in occasione dell’incontro
bilaterale, domandare allo Stato di Israele la scarcerazione dei
prigionieri politici dai quei luoghi di detenzione e repressione
dello Stato occupante, dove segregare e punire i patrioti
palestinesi, seviziare e negare diritti, è la norma. Ripenso ancora
agli occhi del patriota Samer Issawi, e in quegli occhi vedo gli
occhi di tutti gli uomini e di tutte le donne che hanno subito le
garrote e i lager, i roghi e le pulizie etniche e le torture per
affermare il bisogno ineludibile di libertà. Le abbiamo scritto per
una ragione, Signor Presidente, perché mai e poi mai possiamo
sentirci in pace di fronte ai “fatti compiuti”. Anzi , come
diceva Adorno, è nel non essere mai appagati di ciò di cui si viene
a conoscenza, che è la forma più alta di moralità: “è non
sentirsi mai a casa, nemmeno a casa propria”.
Ha
scritto il grande intellettuale palestinese Edward Said: “Capire
cosa accadde agli ebrei d'Europa sotto il nazismo significa capire
cosa vi è di universale nell'esperienza umana in circostanze
catastrofiche. Significa compassione, umana simpatia, ripudio
assoluto dell'idea che si possa uccidere un essere umano per ragioni
etniche, religiose e nazionalistiche. [...] Tuttavia, se la coscienza
degli arabi facesse progressi in questa direzione, bisognerebbe che
altrettanto propensi alla comprensione e alla compassione si
mostrassero gli israeliani e i loro sostenitori, che si sono
impegnati in ogni sorta di diniego e in espressioni di
non-responsabilità difensiva ogni volta che si è trattato di
discutere del ruolo centrale giocato da Israele nella storica
spoliazione del popolo palestinese. [...] Il fatto è che
l'esperienza degli ebrei e quella dei palestinesi sono storicamente,
anzi organicamente, connesse: separarle equivale a falsificare ciò
che ciascuna ha di autentico”.
Confidiamo
in Lei, presidente, perché questa nuova realtà sia alla base del
prossimo incontro di Torino.
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